Un’altra signora di Pula, in quello stesso periodo, aveva il braccio destro semiparalizzato ed avvertiva forti dolori. Dopo aver supplicato la Madonna di Bonaria nel Santuario di Cagliari, andò a trovare Fra Nazareno a Piccared- du. Appena la vide avvicinarsi e prima ancora che questa cominciasse a parlare, le disse severo: “Ricordati che la Madonna è prima di me!”. Quindi la visitò e aggiunse: “Custu esti unu tumoreddu (questo è un piccolo tumore)” – indicando un punto della schiena – “Non fartelo toccare dai medici!”. Per tre giorni di seguito la donna tornò dal Frate, il quale le appoggiò ogni volta un guanto di Padre Pio sulla schiena ed alla fine le disse: “Vedrai, si trasformerà in liquido e sfogherà così… Non farti toccare, ricordalo!”. Lentamente, tutto si riassorbì nel tempo come aveva diagnosticato Fra Nazareno, mentre i dolori erano scomparsi da subito. Il tumore, già accertato radiograficamente, non ha più dato alcun fastidio.

Alla fine di giugno del 1974 programmai la prima comunione di uno dei miei figli a S. Giovanni Rotondo presso la cripta di Padre Pio; proposi il viaggio a Fra Nazareno e questi accettò volentieri. Partimmo da Cagliari in otto dentro la mia auto e più precisamente mia moglie, una zia, io, Fra Nazareno e quattro bambini! Sbarcati a Napoli ci recammo subito a Pompei per ascoltare la S. Messa e quindi proseguimmo per Foggia. Sostammo nell’autostrada assolata sotto un cavalcavia, unica zona d’ombra, per consumare un breve pasto seduti per terra. Avevo pensato di offrire al Frate qualcosa di semplice acquistato in un negozio di Pompei, quando lo vidi tirar fuori dal suo bagaglio tante pietanze prelibate, da lui stesso confezionate prima del viaggio e di un gusto squisito. Era mio ospite… ma offrì lui il pranzo, perché, manco a dirlo, mangiammo tutti della sua “cucina”. Alla semplicità che lo distingueva, Fra Nazareno univa una delicatezza che lo metteva a suo agio in ogni circostanza. Questo suo aspetto ebbi modo di rilevarlo sempre più di frequente nel corso degli anni ed in tante diverse occasioni.

Il lungo viaggio fatto assieme mi servì per conoscerlo più a fondo. Nella nave lo accompagnai in una cabina piuttosto lontana dalla mia; declinò cortesemente l’invito a cena nel ristorante di bordo, dicendo che di sera non mangiava. Sul tardi, intorno alle ore ventitré, dopo aver messo a letto i bambini, mi avvicinai alla sua cabina per chiedergli se avesse bisogno di qualcosa. Lo trovai invece nell’angusto corridoio pregando, mentre la maggior parte dei passeggeri dormiva: “Non va a letto?” – chiesi cortesemente – “…Dopo …dopo… “ – mi rispose con un sorriso sornione.

Lo salutai ed andai a dormire nella mia cabina. Per come l’ho conosciuto negli anni successivi, potrei dire che in quella circostanza colse l’occasione per trascorrere buona parte della notte, se non tutta, pregando nel corridoio, camminando avanti e indietro.

Durante il viaggio in macchina nell’autostrada Pompei – Foggia, prima, e nella statale Foggia – S. Giovanni Rotondo poi, per oltre centottanta chilometri, si parlò poco e soltanto quando i quattro bambini dimostravano irrequietezza, in modo particolare quello affidato “alle gambe” del Frate. Questi pregava soltanto e riusciva a raccogliersi intimamente e parlare… con il Signore.

Nella primavera del 1975 gli proposi, di andare a Roma per l’Anno Santo, ed ancora una volta accettò di buon grado. Partimmo col primo aereo, di buon mattino, assieme a mia moglie e rientrammo nel tardo pomeriggio. Una pioggia continua ed un freddo pungente ci accompagnarono per l’intera giornata. Mia moglie ed io avevamo di che coprirci mentre Fra Nazareno non volle neanche ripararsi sotto l’ombrello: camminava tranquillo a fianco a noi sotto la pioggia, con i piedi nudi, indossando i soli sandali. Era edificante vedere con quale devozione l’amico Frate visitava le basiliche romane. In un ristorante vicino alla stazione Termini consumammo l’unico pasto alle ore 13. Riuscii però a fargli mangiare soltanto una bistecca con un po’di insalata cotta: “Non vuole altro?”- gli dissi. “Ma oggi per me è pranzo da signori” -mi rispose sorridente.

Alla fine del pranzo tirò fuori dalla bisaccia una piccola bottiglietta di vetro e mi disse: “… Con l’umidità di oggi ci vuole un goccio di questa acquavite, assaggiatela e vedrete come prosciuga la gola”. Lui stesso, ci fece compagnia gustando un po’del liquore sardo. Con semplicità francescana offrì l’acquavite anche al cameriere che cominciava a sparecchiare: questi la bevve volentieri e dopo qualche minuto si avvicinò un cliente che sedeva nel tavolo accanto, chiedendo l’acquavite speciale di cui gli aveva parlato il cameriere; se ne avvicinò quindi un altro.. con la medesima richiesta finché la boccetta non fu vuota… “Mi dispiace, non ce n’è piu” – disse Fra Nazareno.

Nel visitare l’ultima delle basiliche a S. Lorenzo fuori le mura, l’amico Frate mi disse: “Sono contento di essere venuto per l’anno santo… sa, dottore, questo è l’ultimo per me!”… “Ma lei ha appena 65 anni, tra 25 (il prossimo anno santo) ne avrà 90, quindi potrebbe essere ancora qui” – risposi. “No, no, io non sarò vivo a quell’età” – mi interruppe deciso – ed aveva ragione! Giunti a S. Giovanni Rotondo intorno alle 15,30, Fra Nazareno si sistemò nel Convento mentre noi andammo in albergo. Ci incontravamo ogni mattina in Chiesa per assistere a diverse SS. Messe nell’arco della mattinata ed a pregare presso la tomba di Padre Pio.

Notai che anche a S. Giovanni Rotondo lo avvicinavano numerose persone del posto, mentre lui cercava soltanto di starsene in disparte e recitare il rosario. L’unico pasto che accettò di consumare con noi in ristorante fu il giorno della prima Comunione del bambino, mentre gli altri giorni rimase sempre in Convento, ove si trattenne più a lungo mentre io con la famiglia feci rientro a Cagliari.